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Si chiama, in gergo tecnico, rottura della quarta parete. Consiste nella immaginaria eliminazione, tra le quattro ipotetiche di un ambiente teatrale, cinematografico o anche televisivo, di quella parete che “per convenzione” divide gli attori dal pubblico. La tecnica di cui parliamo è divenuta, a sorpresa, l’elemento tra tutti più divisivo nel giudizio dell’attesissima serie di Sky su Benito Mussolini. Così che il pur ottimo Luca Marinelli, nelle vesti del Duce, non convince del tutto quando parla allo spettatore in maniera diretta, guardandolo negli occhi.
Quegli interventi, peraltro piuttosto frequenti, sono una scelta voluta dal regista, l’inglese Joe Wright, autore consapevole, diremmo, di una novità televisiva quasi assoluta, mentre è risaputo che quegli incisi, quelle confidenze rivolte a chi guarda, sono spesso l’essenza stessa degli spettacoli teatrali. Ecco, parte proprio da qui l’obiezione di chi disapprova quanto proposto nella serie tv.
Il Duce, per loro, si discosterebbe, e tanto, dal personaggio burbero e autoritario che la storia ci tramanda. Hanno come l’impressione, ma ne sono al tempo stesso preoccupati, che Mussolini appaia piuttosto alla mano, qualcuno dice addirittura scanzonato, qualcun altro lo percepisce come una macchietta. Non è facile condividere tali opinioni, anche perché, di contro, arriva un plauso pressoché unanime sulla bontà o finanche bellezza della serie televisiva, che alla produzione e agli autori non può che far piacere. Il dubbio però rimane.
Tanto che lo stesso Scurati, autore del romanzo da cui è tratta la fiction, seppure in tempi diversi, è piuttosto perplesso all’inizio, quando gli viene proposta la trasposizione del libro in tv, ma si mostra poi soddisfatto quando vede il prodotto finale. “Non volevo che il lettore prima e lo spettatore poi empatizzasse con lui” dice lo scrittore napoletano che della serie, proposta in quattro puntate (otto episodi), è anche co-sceneggiatore insieme con Stefano Bises (Gomorra, la serie) e Davide Serino, quello di Esterno Notte.
Ci sono voluti otto mesi di riprese e quattrocento comparse per portare sul piccolo schermo “M. Il figlio del secolo” (il primo volume della tetralogia di Antonio Scurati). La storia è quella che va dal 1919 al 1925, in pratica la nascita e i primi anni del fascismo. Per Luca Marinelli, bravissimo, lo ribadiamo, è stata una fatica immensa, a suo dire, calarsi nei panni del Duce. Sotto tutti i punti di vista, aggiungiamo, visto che sul set è stato zavorrato da venti chili di make up. Mussolini, per l’attore romano, come lui stesso ammette, è stato il personaggio di gran lunga più difficile e impegnativo della carriera.
Quel dialetto romagnolo, esibito nella recitazione da un romano purosangue come lui, lo si deve a un suo collega che per sette mesi gli ha fatto da dialet coach. Parliamo di Denis Campitelli, attore cesenate, che quelle cadenze, la forlivese in particolare, ce l’ha nel sangue. Il risultato è a dir poco lodevole. E per chiudere ci piace citare la nonna di Marinelli. Di famiglia da sempre antifascista, la signora avrebbe preferito che il nipote giammai avesse interpretato tale ruolo. Alla fine anch’ella ha dovuto ammettere: “Bravo Luca, son fiera di te”.
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